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sabato, aprile 25, 2009

25 aprile 1945 - 25 aprile 2009


25 aprile 1945 - 25 aprile 2009

Sono passati 64 anni, 64 anni fa si festeggiava il ritorno di tutta l'Italia alla libertà e alla democrazia.

Il prezzo pagato dall'Italia per liberarsi dai nazifascisti fu altissimo, molti giovani uomini e donne morirono sui monti e nelle pianure in 19 mesi di lotta partigiana.

A loro, a tutti i combattenti che si batterono contro i nazisti e i fasciti loro complici deve andare il pieno rispetto e la riconoscenza di tutti noi.

Tutti quelli che oggi tentano di riscrivere la storia sarebbe bene andassero a rileggersi come andarono le cose, forse capirebbero chi, Mussolini e i suoi, portò in Italia e nel resto d'Europa morte e distruzione.

Per rinfrescare la memoria a tutti noi, riporto qui di segutio un pezzo del discorso tenuto da Massimo D'Alema alla celebrazione del funerale di Arrigo Boldrini "Bulow".

" ... ricordato “noi partigiani abbiamo combattuto per chi c’era, per chi non c’era ed anche per chi era contro”.Ecco ricordiamo questa frase perché essa scolpisce, al di là di ogni possibile revisionismo, la differenza tra le forze in campo e al di là del rispetto che è dovuto alle vittime che sono cadute in buona fede da una parte e dall’altra, al di là del dolore, del ricordo di una guerra che fu anche guerra civile tra gli italiani. Tuttavia non erano uguali quei combattenti, perché da una parte c’era chi combatteva per la libertà di tutti, anche di quelli che erano contro. Ed è per questo che per quei combattenti noi sentiamo di dover esprimere una imperitura gratitudine e in particolare a Bulow, che tutti li rappresenta con la sua straordinaria figura che è divenuta un simbolo di quella lotta. ..."

Nei commenti a questo post trovate l'intervento integrale di Massimo D'Alema.

Buon 25 aprile a tutti!

1 Comments:

Blogger CarloCortesi.it said...

Intervento di Massimo D'Alema ai funerali di Arrigo Boldrini

Ravenna, 24 gennaio 2008
Bozza tratta dalla registrazione effettuata in piazza del Popolo, non rivista dall'Autore
Conservo, tra i miei ricordi più cari, la foto ormai ingiallita di un venticinque aprile di tanti, tanti, tanti anni fa, di un corteo nel quale un ragazzino, coi pantaloni corti, sfilava impettito a fianco del grande comandante partigiano che oggi ci lascia.
Ed è dunque anche con questo sentimento che sono qui per esprimere al tempo stesso cordoglio ma anche gra-titudine e orgoglio e per dire a una nuova generazione, che assiste, talora con sgomento, alle difficoltà dell’ora presente; per dire loro: c’è un’Italia della quale potete sentirvi orgogliosi; c’è un’Italia, che rifiutando ogni furbizia, ogni egoismo, ogni calcolo individuale di convenienza, seppe decidere, e combattere, e rischiare la propria vita per la libertà di tutti; seppe conquistarsi il rispetto e il riconoscimento del mondo.
Perché questo fu il comandante Bulow.
Un grande comandante militare coraggioso, intelligente e umano, che seppe conquistarsi non da parte della retorica nazionale ma da parte del Comando dell’ VIII Armata una Medaglia d’oro per il suo valore. E il co-mando dell’ VIII Armata angloamericana, il generale Mc Kreery, volle la Brigata Garibaldi, la Ventottesima Brigata Garibaldi, al suo fianco nell’avanzata verso il Veneto, caso unico e straordinario di riconoscimento delle capacità militari dei partigiani da parte di un esercito alleato che non era generoso in riconoscimenti di questo tipo.
Un episodio straordinario nella storia della Resistenza.
Un episodio straordinario nella Storia di un Paese che non vanta un numero enorme di glorie militari e che ri-corda oggi un uomo riconosciuto appunto dagli alleati come un comandante militare di capacità straordinaria.
Ma Bulow seppe impersonare il carattere popolare, nazionale, democratico dell’antifascismo.
Che cosa fu se non questo la scelta coraggiosa, ai limiti dell’ardimento, di portare la guerra partigiana nella pianura, là dove sembrava impossibile per gruppi che ritenevano possibile fronteggiare la forza preponderante dei nazifascisti soltanto rifugiandosi sulle colline, sulle montagne? Bulow scelse qui di scendere in pianura, di combattere, contando sulla solidarietà, sulla partecipazione coraggiosa di tante donne, di tanti uomini, con-tando sul fatto che i contadini, i braccianti avrebbero trasformato ogni casale in rifugio per i partigiani, in una trincea nella quale combattere per la libertà del nostro Paese.
Così la Resistenza è diventata un grande fatto di popolo, si è radicata in questa terra come forse in nes-sun’altra parte del nostro Paese, è diventata parte di una civiltà, di un’esperienza collettiva, di una lotta non di piccoli gruppi ma della grande maggioranza dei cittadini.
Questo fu la straordinaria esperienza della Ventottesima Brigata con il nome del leggendario capo comunista Mario Gordini, fucilato dai nazifascisti nel gennaio del 44, che fu, insieme a Ennio Cervellati, uno dei primi animatori della Resistenza e dell’antifascismo.
Ecco sono state ricordate le parole di Boldrini quando egli celebrò il cinquantesimo anniversario della Ventot-tesima, quando ricordò la scelta di iniziare per primi la guerriglia in pianura con l’appoggio fondamentale dei contadini, dei braccianti, dei lavoratori della terra, e quando egli pronunciò quelle parole che il Sindaco di Ravenna ha ricordato “noi partigiani abbiamo combattuto per chi c’era, per chi non c’era ed anche per chi era contro”.
Ecco ricordiamo questa frase perché essa scolpisce, al di là di ogni possibile revisionismo, la differenza tra le forze in campo e al di là del rispetto che è dovuto alle vittime che sono cadute in buona fede da una parte e dall’altra, al di là del dolore, del ricordo di una guerra che fu anche guerra civile tra gli italiani. Tuttavia non erano uguali quei combattenti, perché da una parte c’era chi combatteva per la libertà di tutti, anche di quelli che erano contro. Ed è per questo che per quei combattenti noi sentiamo di dover esprimere una imperitura gratitudine e in particolare a Bulow, che tutti li rappresenta con la sua straordinaria figura che è divenuta un simbolo di quella lotta.
Quella lotta divenne movimento di massa e fondamento di un rinnovato patriottismo democratico sulle mace-rie dell’8 settembre, là dove si era consumata la crisi del vecchio Stato italiano.
Questo ha reso possibile che quel patrimonio abbia continuato a essere, per tanti anni, il fondamento del no-stro vivere comune.
E Boldrini ne fu testimone in modo generoso, mai conservatore, mai accettò di essere considerato un oggetto da esporre in un museo; ha continuato per tanti anni ad essere protagonista, a far rivivere quell’idea dell’unità delle grandi forze democratiche, popolari che aveva là, nella Resistenza, il suo fondamento e nella Costituzio-ne la sua sanzione.
Un’unità che ha saputo resistere a tutti i conflitti perché fondata non soltanto su grandi valori condivisi ma sulla esperienza comune della lotta per la libertà.
Anch’io mi sono sentito parte e spettatore del sodalizio umano che unì Boldrini a Zaccagnini.
Zaccagnini era vicino di casa della mia famiglia di allora. Giovane medico cattolico scelse di andare a com-battere nella Brigata Garibaldi, assieme ai comunisti, esperienza abbastanza singolare, pure nella forza delle sue personali convinzioni che ne fecero poi un protagonista della storia della Democrazia Cristiana.
E mi è capitato di essere testimone di tanti momenti difficili della forza di un rapporto umano, oltre che di una solidarietà ideale, che ha saputo resistere a tutti i conflitti che pure hanno animato, come era ragionevole e giusto che fosse, la vita della repubblica democratica.
Ma di questo valore dell’antifascismo, come collante, come valore civile, costitutivo della nostra democrazia, Boldrini è stato più che un custode e un testimone, egli lo ha saputo far rivivere in tutti i momenti decisivi, importanti, difficili, nello scontro con il terrorismo, quando fu fondamentale la ritrovata unità delle forze de-mocratiche e quando fu così importante l’impegno di un uomo come Boldrini che rese chiaro, al di là di ogni qualsiasi dubbio, che il legame che i terroristi volevano vantare con l’esperienza militare e politica della Resi-stenza era una menzogna; e che essi, al contrario, erano i negatori di quei valori.
Ricordo il richiamo costante al lavoro della Costituente che aveva saputo raccogliere lo spirito, come disse Boldrini, che aveva animato la lotta di liberazione, valori fondamentali pur nella diversità; e l’elogio del com-promesso, dell’intesa possibile, dell’incontro fra culture diverse, l’elogio della politica democratica in un’epoca in cui spesso il radicalismo, l’intolleranza reciproca, la violenza e persino la volgarità dello scontro politico vengono rappresentati come testimonianza alta dello spirito della democrazia.
Ma so bene, mi è capitato in diverse occasioni di constatarlo, che spesso sono gli uomini che hanno combattu-to, i militari, quelli animati da un sentimento più profondo di pace, quelli che più odiano la guerra, lo scontro, perché sanno di cosa si tratta.
Boldrini fu uomo di pace, aperto al futuro, innovatore; basta pensare al modo in cui egli seppe guardare al grande processo dell’unità europea e celebrando il manifesto di Ventotene vedere come il grande progetto dell’unità dell’Europa aveva tratto nei valori di libertà, di democrazia, di giustizia, di solidarietà che si erano espressi nella Resistenza il suo fondamento.
Così egli fu un innovatore della storia della sinistra, mai chiuso nella difesa di una storia di cui pure era stato un grande protagonista. Ricordo il messaggio – l’ultimo che ci ha lasciato -; le parole con le quali egli ha ri-cordato il 60° anniversario della Liberazione portano questo segno: “Non vogliamo costruire un’archeologia della storia e nemmeno chiuderci in un fortino, custode delle nostre memorie, vogliamo lavorare per far rie-mergere lo spirito di allora che ci ha tratto dal baratro e che ha restituito dignità agli italiani e che oggi ancora e nuovamente può ridestare entusiasmi, fiducia, coscienze e volontà di alimentare una nuova Italia democrati-ca e civiltà.”
E’ un messaggio di cui sentiamo oggi più che mai la forza e l’attualità.
In un’ora difficile della storia della Repubblica; in un momento nel quale potrebbe prevalere la sensazione di un Paese che fatica a ritrovare se stesso, ragioni di una convivenza civile, di un impegno comune; nel momen-to in cui sembra prevalere la logica egoistica degli interessi propri e non la passione del bene comune che spinse la generazione dei nostri padri a combattere e a mettere in gioco la propria vita, questo messaggio ci appare così attuale e così importante.
Siamo grati alla generazione di Bulow.
Siamo grati a lui.
Siamo grati perché grazie a loro questo Paese ha conosciuto tanti anni di pace e di progresso, un dono straor-dinario di cui abbiamo goduto.
Siamo grati per la forza delle loro passioni civili.
Siamo grati per quello che ci hanno insegnato e sentiamo che tante volte non siamo stati all’altezza di questo insegnamento.
Oggi più che mai sentiamo di dovere rendere omaggio, di dover rivolgere un saluto commosso.
Se ne va Bulow, una parte della nostra storia, un pezzo della nostra vita. Rimane il suo incitamento di guarda-re avanti; rimane il suo appello a ritrovare nei valori della Resistenza non un oggetto da custodire ma l’incitazione per nuove battaglie democratiche di civiltà.
Sapremo raccogliere questo appello. Anche di questo ti ringraziamo nel salutarti commossi.
Addio Bulow.

2:22 AM

 

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